Il “Progetto 192” fonde la vita, la morte, la pietà e l’accusa.
192 fotografie e 192 nomi, quelli delle vittime dell’attentato nei treni dei pendolari di Madrid, l’11 marzo 2004. Un passato molto prossimo, sul quale però ogni giorno cala impercettibile un velo, il velo più pericoloso, il velo dell’oblio, lento e sottile.
Io non voglio dimenticare, e non posso.
L’ambiente dei treni, specie quelli dei pendolari, è un microcosmo inarrestabile; brulicante di vita, di movimento,di rumori. Migliaia di persone diverse tra loro, eppure simili, nei loro sentimenti, nelle loro motivazioni.
E sulla vita visibile, fatta di gesti e movenze, di voci e rumori all’improvviso scatta e si staglia quella invisibile, fatta di pensieri e di silenzi.
E nasce una fotografia. Nei treni c’e’ tutto.
C’è la nostra vita, fatta di tante cose, che vogliamo, che non vogliamo, che cerchiamo, che non troviamo, che facciamo perché dobbiamo. Il nostro lavoro, i nostri incontri, i nostri passaggi occasionali. Ci siamo noi. Vivi e veri. Tutti i giorni, a tutte le ore.
Un giorno uguale all’altro, un giorno dopo l’altro. Ma l’11 marzo 2004 è stato un giorno diverso. Nei treni è entrata la morte, quella più cieca, violenta, cattiva, portata da un odio cieco, violento, cattivo. 192 persone non ci sono più e accanto alle loro vite perdute per caso, per un attimo sbagliato, ci sono le vite devastate dei loro familiari e amici.
Qualche giorno di caos, di ricerche febbrili e accorate, di strazi impietosamente portati in giro per il mondo dai mass media, e poi i tanti gesti di eroismo e solidarietà, tanto più sinceri quanto più improvvisati e nati cavalcando l’onda del sentimento umano ferito e oltraggiato, e lentamente la vita è tornata,con le sue leggi ineludibili.
Si continua, c’e’ un altro giro di giostra per tutti noi. Nei nostri obiettivi, gesti, movenze, voci e rumori. E ancora pensieri e silenzi.
Dietro il suo fluire inarrestabile la vita cela il suo doppio, la paura, il terrore, la morte.
192 fotografie in bianconero. Una fotografia per ogni vittima, e il nome di ognuno di loro “ dentro “ l’immagine, scritto su un foglio, su una mano, su uno scalino, su un sedile o altro ancora.
Sarà la fotografia a deciderlo volta per volta, sarà il nome a chiederlo volta per volta, a creare la situazione fotografica.
A volte con la partecipazione di uno sconosciuto consenziente, che si farà testimone d’accusa e portatore di pietà.
Perché soffrire della sofferenza altrui è il nostro cammino.
Ciro Prota
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